
(di Marco Gallo) Le radici del Petrino bruciano, ancora una volta.
È un cortometraggio che si ripete, un nastro che riparte sempre nello stesso preciso momento. Le radici di un popolo bruciano e il sudore di associazioni culturali, cittadini volenterosi e fierinaturalisti locali viene spazzato via da una semplice scintilla di stoltezza.
Il monte Petrino ha accolto popoli per centinaia di anni. Persino i primi mondragonesi vissero lassù fino al 1400; quando per ragioni igienico-sanitarie decisero di scendere a valle ed edificare il primo borgo fortificato, Villa dei Marchi (oggi Casale di Sant’Angelo).
Ma la storia non insegna evidentemente. E come ogni anno la natura, gli animali selvatici e le origini di un popolo vengono messe a repentaglio dalla puerile strafottenza umana: simbolo di una parte malata della società che ha deciso di non voler cambiare, di voler restare nel buio delle grotte paleolitiche.
Ancora oggi molti non conoscono la storia di Mondragone, ancora oggi molti snobbano le strutture millenarie che si celano all’interno di quella stessa boscaglia che prende fuoco; ancora oggi molti non sanno che proprio sulle colline in fiamme ogni anno vecchi antenati si ammassavano per costruire, per coltivare, per proteggere, per sognare un futuro migliore.
La storia non insegna evidentemente.
Eppure c’è chi, dopo centinaia di anni, spera ancora in un decisivo cambio di rotta. “È una questione culturale” direbbe qualcuno. In realtà è anche una questione di dignità.
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